25 novembre 2010
Negli ultimi giorni , i bulldozer Israeliani hanno disseminato distruzione e disperazione in Palestina: a Quarawat Bani Hassan, vicino Salfeet, hanno demolito una serra, varie strutture di un progetto di rivalutazione dell’agricoltura locale e hanno bloccato una strada impedendo agli abitanti del villaggio di raggiungere la loro sorgente d’acqua; in al-Jiftlik hanno distrutto una casa e due edifici per il bestiame; a Khirbet Yarza, a est di Tubas, hanno abbattuto una Moschea; altri edifici sono stati demoliti a Hizma, vicino Gerusalemme.
Anche nelle Colline a sud di Hebron ci sono state i soldati Israeliani hanno sparso distruzione: nel villaggio di al-Rifayaia, vicino Yatta, alle otto e un quarto del mattino, le truppo Israeliane hanno fatto crollare una casa dove vivevano due famiglie, lasciando senza tetto venti persone, di cui 16 minori. Io sono arrivata lì verso l’una, per documenteare quello che era successo.
Erano in molti, riuniti attorno ai detriti lasciati dai bulldozer, a cercare di dare un po’ di sostegno alle due famiglie colpite dalla terribile sventura. I bambini avevano facce un po’ disorientate mentre giocavano fra le rovine di quella che fino a ieri era una bella casa di 200 metri.
Le donne, nonostante avessero ancora gli occhi arrossati dal pianto, non hanno trascurato le regole dell’ospitalità mi hanno subito offerto un bicchiere di te. Tutti mi invogliano a fotografare le macerie, come se volessero far vedere al mondo la loro ingiusta sventura.
Uno dei giovani della famiglia mi spiega che la casa era di due dei suoi fratelli e delle loro famiglie. Uno di loro è seduto poco distante da noi con una faccia cupa e preoccupata. Non potrà costruire un’altra casa per la sua famiglia perché non ha il permesso per andare a lavorare in Israele e ha gravi problemi economici.
I bulldozer Israeliani non gli hanno neppure dato il tempo per portare via la proprie cose prima di buttare giù la casa.
Prima che io arrivassi, era già passata la Croce Rossa a consegnare tende, sedie di plastica, dei fornelli da campo e qualche scatola di aiuti umanitari. Dopo avermi spiegato che gli aiuti della Croce Rossa serviranno poco adesso che arriva il freddo dell’inverno, mi chiedono se io posso aiutarli in qualche modo e mi si spezza il cuore a dover dire che l’unica cosa che posso fare è documentare quello che è successo e cercare di diffondere la notizia perché la gente nel resto del mondo venga informata della situazione in cui il popolo Palestinese è costretto a vivere.
Poco dopo arriva Hamed Qawasmeh. Lavora per L’Ufficio per la Coordinazione degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (OCHA). Mi spiega che non ci sono molte organizzazioni che aiutano a ricostruire le case demolite dagli Israeliani e che le Nazioni Unite possono solo cercare di alleviare un po’ la difficile situazione in cui le due famiglie si trovano.
Mentre parlo con lui, gli uomini della famiglia montano, poco distante dal cumulo di macerie, le due tende che ha lasciato la Croce Rossa. Per fortuna alle due famiglie restate senza tetto, durante i prossimi mesi invernali non mancherà il calore dei parenti e dei vicini.
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