L’incubo occupazione

7 novembre 2010


Una settimana di Al-Khalil(Hebron). Se per me vivere qua è un’esperienza molto frustrante, per i Palestinesi è come vivere in una specie di incubo continuo e senza nessuna via d’uscita!

Un giorno un tassista ha paragonato i Palestinesi a un gatto rinchiuso in una stanza senza cibo e acqua che appena apri la porta ti salta in faccia… e poi ci ha raccontato di una donna che dopo gli Israeliani le avevano ucciso il padre da piccola e il fratello e il fidanzato proprio poco prima del matrimonio, ha deciso di vendicarsi e farsi esplodere.

La Casba di Al-Khalil (Hebron) è molto bella: mi piace camminare per i vicoletti stretti stretti della zona attorno alla moschea di Ibrahim fra i mercanti che cercano di convincere i turisti a comprare.

Peccato che se ti fermi un po’ a parlare con i Palestinesi tutti hanno storie tristissime da raccontare su parenti o amici uccisi, feriti o imprigionati dagli Israeliani.

Peccato che a volte si fanno cattivi incontri per le strade: infatti soprattutto il sabato i coloni si aggirano con un mitra a tracollo camminando con la stessa disinvoltura di chi porta una borsa o uno zainetto. E inspiegabilmente pieni di odio a volte dicono cose orribili come “Voglio bere il sangue degli arabi!” o “I musulmani sono come asini”.

Peccato che in alcuni parti del centro se alzi lo sguardo c’ è una rete perché i pochi coloni che vivono in alcune delle case della Casba spesso tirano pietre, spazzatura e oggetti vari ai Palestinesi che passano di là. E altre volte i Palestinesi per proteggersi dai coloni che tirano pietre alle loro finestre le hanno trasformate in gabbie.

Peccato che i soldati Israeliani hanno fatto della Casba il loro territorio per giocare alla guerra. E li incontri spessissimo, ai molti checkpoint, dove i Palestinesi vengono perquisiti e umiliati, o in giro in gruppo, mentre controllano a caso i documenti dei palestinesi, anche se non hanno nessun motivo in particolare.

E ad ogni angolo, ci sono soldati Israeliani con l’aria un po’ annoiata ma sempre pronti a riconfermare con ogni mezzo possibile il proprio illimitato potere, in caso qualcuno potesse essersi scordato per un istante di vivere sotto l’occupazione Israeliana.


Spesso ci fermiamo a parlare con i soldati con la speranza di far sorgere in loro almeno qualche dubbio su quello che stanno facendo. Del resto la maggior parte di loro sono solo ragazzini, ubriachi di potere e allo stesso tempo vittime anche loro di una situazione assurda, di un circolo vizioso che non porta a niente di buono.


Uno di loro, nato in America, ci ha detto orgoglioso che Israele ha “conquistato” la Palestina quindi tutta la Palestina e’ parte di Israele. Un’altro quando gli abbiamo chiesto la sua opinione su quale sarebbe la soluzione migliore a questa situazione ha ammesso che il suo sogno è che tutti i Palestinesi decidano di andare in Giordania, anche se sa che non può forzarli ad andarsene.

Eppure ogni azione dei soldati, dalla pura e semplice presenza costante nelle strade, agli atti di prepotenza gratuita, sembra proprio mirata a stancare i Palestinesi fino a non lasciargli altra scelta che andarsene. Come quando a un checkpoint un soldato ha chiesto a un Palestinese di provare che la giacca che aveva addosso era sua e poi l’ha “sequestrata”… o quando ogni mattina i soldati controllano gli zainetti dei bambini prima della scuola… o quando costringono i Palestinesi a passare attraverso tre chekpoints per andare nella moschea di Ibrahim e poi li continuano a controllare attraverso le telecamere persino mentre pregano!

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