13 gennaio 2011
Improvvisamente mi rendo conto che è da quasi un mese che ho lasciato la Palestina eppure ancora mi sento come se parte del cervello è restato fermo là. Da pochi giorni ho smesso di sognarmi ogni notte soldati eppure non posso evitare di pensare continuamente alla Palestina.
Ogni giorno leggere quello che succede alla gente là è come una spina che entra profonda nella carne…
Non riesco a controllare la rabbia, il senso di impotenza… e la voglia di piangere dato che la lontananza mi dà il diritto a non essere forte come i Palestinesi che da anni vivono in prima persona una catastrofe senza senso. Nella confusione dei miei pensieri, ritornano continuamente a galla i tanti piccoli episodi di violenza e ingiustizia che ho visto da vicino e soltanto ripensando al coraggio dei Palestinesi riesco a non farmi abbattere dalla tristezza.
Essere in questa parte di mondo, in una una quotidianità di calma apparente è come entrare in una realtà parallela finta dove la normalità di un’esistenza di frenetico produci-consuma-crepa ci tiene occupati e quieti come vacche al pascolo. Ci hanno costruito attorno un labirinto di cemento, dove ci guidano secondo il loro volere bombardandoci di publicità e norme imposte.
Viaggiare, cercare di vedere quello che c’è un po’ più in là, è un modo per non restare passivi di fronte a un mondo che forse potrebbe migliorare piuttosto che peggiorare. Io credo ancora nel potere dell’informazione e della non violenza.
La foto qui sotto è una triste satira dei poster per turisti e un invito ad andare a Hebron/Al-Khalil a conoscere la gente e a sperare con loro che presto la Palestina sarà libera!